Ultima spiaggia per i Ronchi.
Il litorale apuano è di nuovo sotto erosione, ma anche altre porzioni della costa Toscana vivono momenti difficili. È stato il continuo tremore dei vetri, in una casa sul litorale dei Ronchi, che mi ha portato sulla spiaggia, dove sono rimasto di sasso. È il termine giusto: i massi delle Apuane stavano finendo in spiaggia. Con un colpo unico si distruggeva il paesaggio marino e quello montano.
In realtà il ragionamento non è facile perché l’erosione che ha colpito da almeno due anni questa spiaggia che è (o purtroppo era) bellissima è abbastanza impressionante. L’effetto che non ti aspetti non è tanto l’avanzata del mare, quanto la sezione che cambia. Si cammina sulla battigia e vedi gli stabilimenti balneari che poggiano due metri più in alto. Quello è lo spazio che il mare ormai si prende nelle mareggiate invernali.
A questo fenomeno si è reagito costruendo delle prime scogliere, poco efficaci, per cui si è ricominciato -i recenti tremori- con la realizzazione di altri pennelli protesi verso il mare, ma anche paralleli a protezione di stabilimenti balneari. Operando con mezzi meccanici giganti, l’intera spiaggia si sta trasformando in una massicciata, mentre i tentativi di ripascimento sembrano del tutto inefficaci. Il problema è che l'insieme sistematico di queste opere sta producendo una modifica del quadro paesaggistico e ambientale più significativa dell'erosione stessa. Speriamo di non essere in un caso analogo a quello del Poetto (Cagliari) dove a cose finite si sono accorti della spiaggia rovinata e di un grave danno ambientale e paesaggistico. In un recente convegno della sezione locale di Italia Nostra è stato evidenziato che le scogliere sono inutili, in quanto rigide, mentre sarebbero necessarie barriere di protezione più permeabili come quelle che potrebbero garantire le coltivazioni di mitili. Sembra che le coltivazioni di cozze ( in Toscana muscoli), oltre ad avviare una nuova economia, avrebbero il potere di contenere l’erosione. Soluzione poco ingegneristica che certo non risponde all’idea industriale e alle spese consistenti in corso. Di sicuro resta il problema del perché vi sia questa erosione e nessuno che abbia responsabilità ha espresso un’opinione certa. Molto spesso si fa anche finta di non saperlo, almeno a vedere i piani regolatori di molti comuni costieri (compresi quelli apuani) ognuno con un progetto di nuovo porto, approdo o marina che dir si voglia. Almeno una cosa dovrebbe essere chiara, cioè che il litorale è uno solo: un intervento in un punto produce un esito -spesso negativo come l'erosione, in un altro, per cui è necessario un coordinamento generale degli interventi che superi i confini comunali. È urgente una ricognizione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici dei vari comuni ed avere, più che il coraggio, il senso di responsabilità di eliminare tutte quelle che possano produrre modifiche agli assetti dei litorali, all’apporto sabbioso dei fiumi o alle correnti. Molte di queste previsioni sono ferme solo per la crisi o per il solito arresto dell’investitore, ma restano in attesa. Quelle che sono partite, come il caso di Cecina, stanno già producendo erosione e gravi danni paesaggistici, ma questa è un’altra brutta storia che merita di essere approfondita a parte. È l’ora di levare i porti e gli approdi turistici dalla programmazione settoriale, riportandoli nell'ambito della pianificazione urbanistica e paesaggistica, come logica pianificatoria richiede. Neppure il Piano paesaggistico regionale in discussione, ha potuto avere l’attenzione necessaria sul tema, limitandosi a fare proprio il Piano regionale dei porti.
D’altro canto in Regione le competenze sono divìse in tre assessorati: uno si occupa dell’erosione intesa come i primi metri di territorio asciutto e degli interventi che la dovrebbero contrastare (Ambiente), uno si occupa di porti e approdi turistici, che la provocano (Trasporti) e uno di programmazione territoriale, sotto il quale dovrebbe essere riunificata la materia (Pianificazione e paesaggio). È necessario un coordinamento delle politiche per evitare spreco di risorse pubbliche (pare che i soldi in ballo siano tanti) e interventi dannosi al paesaggio e all’ambiente con opere progettate con visioni parziali e tecnicistiche, come quelle di cui parliamo, senza prefigurare l’assetto paesaggistico finale e quello territorale complessivo. Erosione non significa solo battigia e sabbia, ma anche l’ambiente retrostante di cui è la facciata, per cui se non esiste più la spiaggia, il resto non rimane uguale. Nell’immediato retrospiaggia dei Ronchi ancora si trovano i pini marittimi sdraiati per resistere ai venti, tamerici salmastre ed arse, vegetazione dunale, erbe, pezzi di archeologia ambientale che conservano angoli di un paesaggio memorabile. In uno dei bagni più conservati si è così pensato, per offrire la spiaggia che non c’è più, di spianare un pezzo di duna, sollevando giuste grida di dolore degli affezionati ai luoghi. A dimostrazione ancora una volta che il litorale è uno solo, anche in senso fisico, con la sua fascia retrodunale che lo completa ed è una follia pensare la sabbia senza il resto.
L’occasione di questi interventi sarebbe quella giusta per stabilire che negli arenili e nelle fasce che li completano si interviene solo con legno e materiali tradizionali e tecniche di bioarchitettura escludendo l'ulteriore cementificazione e la realizzazione di manufatti inamovibili che devono essere poi difesi a tutti i costi con interventi massicci. E poi valutare l’assetto della fascia marina (oltre il viale a mare) conseguente l’erosione e verificare allineamenti, destinazioni d’uso, assetto paesaggistico e ambientale, cominciando a ripristinare negli stabilimenti balneari le porzioni di arenile trasformate in parcheggi.
In fin dei conti per amore della sabbia si potrà fare lo sforzo di usare la bicicletta per andare al mare. E poi se venite ai Ronchi non avete più bisogno di portare palette e retini per le arselle, vi basta una maschera per vedere i polpi.
Giovanni Maffei Cardellini